È possibile «Imparare a Soffrire»?
La Salute Mentale tra Cultura e Percezione del Tempo
Quando sentite le parole salute mentale, qual è la prima cosa che vi viene in mente?
Benessere, malattia, mente, corpo, stress, psicologo, lavoro etc.. Se provate a rispondere con un semplice brain storming a questa domanda, vi accorgerete che definire la salute mentale è complesso. Si tratta infatti di un tema che riguarda trasversalmente più discipline e aree della vita.
Da un punto di vista psicologico, secondo il modello dell’Analisi Transazionale, quando parliamo di salute mentale, si fa riferimento all’insieme di pensieri emozioni e comportamenti che caratterizzano la vita di ciascun individuo. Se l’insieme dei pensieri emozioni e azioni funziona in modo coerente, si avrà la percezione di uno stato di benessere generale. Nel momento in cui invece queste parti entrano in conflitto tra di loro, si genererà uno stato di tensione e di sofferenza psicologica.
La Salute Mentale funziona come un’ orchestra
Esattamente come un’orchestra, quando gli strumenti suonano in sinergia e armonia, il risultato sarà un suono piacevole e lineare. Al contrario, se gli strumenti non sono coordinati bene tra loro, il suono diventerà spiacevole, confuso e fastidioso, al punto che la reazione istintiva sarà abbandonare la sala del concerto. Quando si è in contatto con uno stimolo stressogeno, dentro di noi scatta una reazione innata “di attacco o fuga” , volta a eliminare o a evitare quello stimolo. Lo scopo di tale reazione è poter tornare a uno stato di salute mentale definito omeostasi e ad un dispendio minimo di energie. Se questo può funzionare per situazioni di reale emergenza o pericolo, nella vita di tutti i giorni, l’evitamento dà solo una parvenza iniziale di sollievo e di efficacia. A lungo andare, quel rumore stridente continuerà ad esserci ogni volta che si va in scena e che gli strumenti proveranno a suonare. D’altronde, l’orchestra ha bisogno di qualcuno che la accompagni verso la costruzione di un suono meraviglioso e piacevole. E questo vale anche per la salute mentale: va educata.
Dover Riempire il Tempo
Vi capita mai di sentire una sensazione di base di inquietudine, che cercate di non ascoltare facendo altro? Come mangiare qualcosa, vedere un film, lavorare di più? Riempire il tempo per evitare quel fastidio, quella noia?
I nostri pensieri, le nostre emozioni ed i nostri comportamenti, se non ascoltati e non guidati verso una coerenza, ad ogni occasione stressogena, rientreranno in conflitto. Questo comporterà un gran dispendio di energie mentali e fisiche e una sensazione in sottofondo di stanchezza.
E allora come si fa? Da cosa dipende questo conflitto intrapsichico e interpersonale che si genera così frequentemente?
La società in cui viviamo è una società veloce. La tecnologia, unita alla cultura consumistica, smart e basata sulla produttività, portano sempre di più a correre, a percepire che il tempo sfugge tra le dita. Sembra di non averne mai abbastanza e che le cose che si fanno sono sempre poche rispetto a quelle prestabilite. Questa condizione porta a vivere un costante senso di insoddisfazione. Lo si riconosce da pensieri come “non ho abbastanza tempo, potrei fare di più, non sono abbastanza efficiente”. Come se ci mettessimo a riempire tutti i giorni una sacca che però ha il fondo bucato. Non è mai abbastanza. Questa tendenza a riempire il tempo con qualsiasi distrazione, a partire dalla connessione costante attraverso i social, sino ad arrivare al misurare la propria autostima con la quantità di ore che si passa a lavorare, ci rende sempre più vulnerabili. Stiamo disimparando la capacità del “non fare”, del fermarsi e dello stare in ascolto con se stessi, ovvero in ascolto con il proprio tempo interiore.
Il Tempo Fuori e Dentro di Sè
Il tema della concezione del tempo è un tema su cui l’umanità si interroga da secoli. Basti pensare che nell’Antica Grecia il tempo inteso come quantità e quindi misurabile era rappresentato da Kronos. Kronos è un mostro spaventoso che divora i propri figli, che schiaccia e che opprime. Il “tempo nel mezzo” invece, quello interno, qualitativo, è Kairos, rappresentato da un giovanotto con le ali ai piedi ed il ciuffo sbarazzino, che vive ogni istante della vita come unico.
Che effetto vi fanno queste immagini?
Anche per voi il tempo a volte è come qualcosa che divora, che crea pressione e che affanna?
Se la risposta è sì, avete fatto esperienza di come il modo di vivere il tempo dipenda dai preconcetti culturali della società di appartenenza. Infatti, questa visione del tempo è prettamente occidentale. Nei territori dell’Asia, ad esempio, o nella filosofia buddhista, la concezione del tempo cambia radicalmente e mantiene il focus sull’ascolto del tempo “qualitativo”, interno.
Oggi è come se “prendersi tempo per sè” fosse qualcosa di implicitamente poco consentito. Prendersi tempo per sbagliare, per cambiare progetto di vita o per non averne uno, o ancora per rallentare. Sembrano tutti concetti accomunati dal pregiudizio culturale implicito “è una perdita di tempo”.
Il Tempo e la Sofferenza: due costrutti legati alla Cultura di appartenenza
Come potrete iniziare a intuire, il concetto culturale di tempo è visceralmente collegato al modo e all’intensità con cui soffriamo.
Per parlare di salute mentale oggi, bisogna prima di tutto parlare di educazione verso la sofferenza. Bisogna imparare a soffrire, che non vuole essere una visione masochistica, ma riportare al concetto di accettazione. Bisogna tornare ad accettare la sofferenza come una parte integrante della vita. E’ ben diverso dall’esserne succubi, ovvero evitarla, correndo come su una ruota di un criceto e riempiendo sempre di più la sacca bucata. Non ha a che vedere neanche col il rassegnarsi alla sofferenza, che implica assumere un atteggiamento di passività verso la vita. Non accettare la sofferenza significa non assumersi la responsabilità (e quindi la libertà) di essere artefici della propria vita.
Tutto questo porta con sé il modello implicito di sofferenza che abbiamo introiettato. Prima di andare avanti è necessario chiarire un concetto: il dolore è qualcosa che fa parte della vita ed è inevitabile. Basti pensare al dolore per un lutto o per la scoperta di una malattia, ma la sofferenza è qualcosa che invece si può in buona parte scegliere ed educare. Se crediamo implicitamente che divertirsi sia una perdita di tempo, o che la prestazione scolastica definisca la mia persona, o ancora che il genere a cui appartengo definisca le emozioni che posso provare, siamo dentro a una gabbia invisibile. Questi pregiudizi culturali, genereranno sofferenza senza che ce ne rendiamo conto, a scapito della nostra salute mentale. Essere consapevoli dell’aspetto culturale della sofferenza, è fondamentale per la scoperta di se stessi e del proprio tempo interno.
Infatti, anche le patologie mentali cambiano: non sono storicamente sempre state le stesse nel corso del tempo. La patologia mentale si evolve e si trasforma al trasformarsi della società e delle regole implicite che la sottendono.
E quindi: lo Scopo della Vita è Non Soffrire o Vivere?
Se la risposta è la seconda, allora è inevitabile attuare un cambiamento di prospettiva. Iniziare a vedere la sofferenza come la chiave della serratura per una serenità autentica e duratura. Non si parla di felicità, emozione intensa, di breve durata e spesso dipendente da fattori esterni a noi, si parla di serenità. La serenità va intesa come un sentimento di base che si genera grazie alla ricerca dell’equilibrio tra dolore e accettazione. Significa accettare la vita nella sua integrità e totalità. Poter usare la sofferenza in modo costruttivo e curioso per conoscere se stessi e il mondo, permette finalmente di avere tra le mani lo strumento per raggiungere la sinergia dell’orchestra. D’altronde, se non si tollera mai il fastidio del suono stridente, non si crea mai la possibilità di imparare quella nota musicale. Solo tollerando questa frustrazione sarà possibile fermarsi ad assaporarne la bellezza e la piacevolezza del concerto. Conoscere Kairos, il tuo tempo interno. E così è anche per la salute mentale.
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Riferimenti bibliografici:
- Stewart I., Joines V. (1987), L’analisi transazionale, Guida alla psicologia dei rapporti umani., Garzanti Editore
- Hans Selye – Italia | Fisiologia dello stress, adattamento e ormoni | Britannica
Autrice: Silvia Izzo https://www.performatsalute.it/professionista/silvia-izzo/