Un urlo coraggioso a cui unirsi solidali!
di Gabriella Magistro
Sono ormai trascorsi più di dieci giorni dal 13 settembre, giorno in cui è morta una giovane donna di ventidue anni, Mahsa Amini, arrestata dalla polizia di Teheran perché non portava il velo in modo appropriato, deceduta in ospedale a causa delle percosse degli agenti della ‘polizia morale’. Il padre, Amjad Amini, ha dichiarato che i medici si sono rifiutati di fargli vedere Mahsa dopo il decesso: «Stanno mentendo. Stanno dicendo bugie. Tutto è una bugia… non gli importa quanto abbia implorato, non mi hanno permesso di vedere mia figlia», ha detto alla Bbc Persia, ripreso dagli altri media internazionali. L’uomo ha anche riferito che quando ha visto il corpo della figlia prima del funerale era completamente avvolto tranne il viso e i piedi, su cui c’erano lividi: «Non ho idea di cosa le abbiano fatto», ha detto. Nonostante il divieto delle autorità – riporta il Guardian – centinaia di persone si sono radunate nella città della giovane, Saqqez, per la sepoltura, gridando slogan antigovernativi come «morte al dittatore» e strappando manifesti della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. In pochi giorni la protesta si è allargata a tutto l’Iran prendendo di mira la polizia religiosa e il regime integralista islamico. La protesta, come accadde nel 2011 nel corso della Primavera araba, usa i social network e la rete per comunicare al mondo cosa davvero sta accadendo, così rimbalzano in rete i video di molte donne che si tagliano i capelli o che intonano “Bella Ciao” in lingua persiana in segno di protesta contro l’hijab, la morte di Mahsa Amini e contro il regime degli ayatollah. Malgrado le autorità di Teheran limitino l’accesso alla rete o tentino di farlo, sui social continuano a diventare virali i video che testimoniano la dura repressione contro le rivolte e in cui si vedono pestaggi, arresti e si sentono colpi d’arma da fuoco, ciononostante resta difficile stabilire il numero delle vittime. Sulla vicenda interviene l’Onu che ha denunciato «la violenta repressione» alle manifestazioni. L’Alto Commissario Nada Al-Nashif, ha espresso preoccupazione per la morte di Mahsa: «La tragica morte della giovane e le accuse di tortura e maltrattamenti devono essere indagate in modo rapido, imparziale ed efficace da un’autorità indipendente, assicurando che la sua famiglia abbia accesso alla giustizia». Secondo la portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissario Onu, in diverse città del Paese, compresa Teheran, la polizia ha sparato munizioni vere e usato gas lacrimogeni. Venerdì 23 settembre, Christiane Amanpour, la famosa giornalista di origini iraniane della Cnn, si rifiuta di indossare il velo per un incontro a New York con il presidente conservatore iraniano Ebrahim Raisi, scatenando la reazione del leader di Teheran che ha prontamente annullato il faccia a faccia. «Credo che Raisi – scrive Amanpour sul suo account Twitter – non voglia essere visto con una donna senza velo nel momento in cui nel suo Paese infuriano le proteste. L’intervista non c’è stata. Con le proteste che continuano in Iran e le persone che vengono uccise, sarebbe stato un momento importante per parlare con il presidente Raisi». Il gesto della giornalista ricorda quello di Oriana Fallaci che nel 1979, al termine di un’intervista con l’ayatollah Khomeini, si tolse indispettita il velo. Poco prima il capo della rivoluzione islamica le aveva detto che «la veste islamica è per le donne giovani e perbene», provocando lo sdegno della reporter che definì il foulard uno ‘stupido cencio da medioevo’. Nella sera di sabato 24 settembre perde la vita un’altra ragazza ventenne, Hadis Najafi, uccisa con sei proiettili mentre protestava, senza velo, per la morte di Mahsa Amini, a Karaj, vicino a Teheran, diventando un simbolo della rivolta. Najafi è una delle tante ragazze impegnate in prima linea nelle proteste al grido: «Donna, vita, libertà» in kurmanci, il dialetto settentrionale della lingua curda. In città religiose come Mashhad e Qom vengono bruciati i veli oppure vengono sventolati dalle auto, anche qualche donna velata e conservatrice ha espresso solidarietà sui social. Il giornalista e attivista iraniano-statunitense, Masih Alinejad, sottolinea il fatto che «questa è la prima volta che queste ragazze non sono sole. Ora gli uomini stanno con loro», inoltre la morte di Amini è stata definita un “femminicidio”, risultato delle sistematiche «politiche femminicide» del regime iraniano, che governa in maniera autoritaria il Paese ed è guidato da religiosi sciiti. Masih Alinejad, in esilio negli Stati uniti, Fondatrice della campagna «My Stealthy Freedom», lanciata su Facebook nel 2014, chiede provocatoriamente: «Dove sono le femministe occidentali che hanno indossato il velo nei colloqui con la leadership di Teheran? Vi chiedo di stare dalla parte delle iraniane che rischiano la vita, protestando non solo per la morte brutale di Mahsa Amini, ma anche per un sistema di apartheid nei confronti delle donne. Vi chiedo di schierarvi, come avete fatto quando è stato ucciso George Floyd». Alla fine della settimana scorsa, in alcune città italiane, come Roma e Torino, alcuni manifestanti sono scesi in piazza per mostrare la loro solidarietà ma l’urlo potrebbe ancora parecchio alzare il volume. Queste donne oggi ci stanno dando un esempio di coraggio eccezionale e di fiducia nella libertà, dovremmo unirci a loro con più decisione ed eludere il rischio di cadere in una sorda passività in cui le cose che accadono sono troppo lontane o, ancor peggio, troppo difficili da cambiare. Non possiamo abbassare la portata della richiesta di aiuto che arriva dalle rabbiose ed esasperate proteste di questi giorni, di migliaia di iraniani, donne e uomini, che chiedono giustizia per Mahsa Amini, giustizia per le donne e condannano un sistema politico considerato corrotto e inadatto a gestire la cosa pubblica.