di Maria Antonietta Spanu

‘Direttore’, ‘direttrice’ e la più rara ‘direttora’ sono le forme attestate nell’uso corrente per designare una persona di genere femminile che dirige. Tutte e tre sono legittime da un punto di vista grammaticale, ma questo non basta a salvarci dal dileggio o dalle ire di chi, ritenendo per qualche motivo che la forma da noi scelta non vada bene, si fa premura di indottrinarci spiegandoci perché invece dovremmo usare una delle opzioni che abbiamo colpevolmente ignorato. Tanta aggressività attiene meno al piano linguistico e più al piano politico e sociale su cui il dibattito si è spostato, dando luogo a convinzioni infondate tra le quali quella che vuole ‘direttore’ di destra e ‘direttrice’ di sinistra.
Diventa allora importante separare i piani della discussione e avere presenti non solo i significati linguistici che ciascuna delle tre forme veicola, ma anche i valori politici, sociali e culturali che gravitano loro intorno, talvolta a insaputa di chi parla.

La forma DIRETTORE designa ‘chi dirige’ e può essere utilizzata in riferimento a persone di genere maschile o femminile. Chi utilizza questa forma in riferimento a una persona di genere femminile pone il focus sul ruolo professionale della persona che dirige e lascia nell’ombra il genere di appartenenza della persona (Serianni, 1989, III, 57).
Tra le persone che optano per DIRETTORE c’è chi ritiene che la forma ‘direttrice’ sia ancora sminuente (Elena Loewenthal) o discriminante (Beatrice Venezi); chi ritiene che ‘direttore’ “suoni meglio” (Cinzia Sasso); chi ritiene la discussione sulla declinazione dei nomi secondaria rispetto ad altri problemi ritenuti più pressanti per la vera parità di genere; chi, come Giorgia Meloni, con fastidio riconduce tutto al politically correct [sic]; chi utilizza il maschile in quanto genere linguisticamente non marcato senza che questo abbia implicazioni ideologiche intenzionali.

La forma DIRETTRICE designa una ‘donna che svolge la funzione di direttore’ (Treccani). Pertanto chi utilizza tale forma sottolinea di una persona, oltre al ruolo professionale, il genere femminile di appartenenza.
Tra le persone che optano per DIRETTRICE c’è chi, come Agnese Pini, ritiene che questa forma sia “semplicemente lingua italiana” non connotata ideologicamente; chi ritiene che l’utilizzo delle forme declinate al femminile contribuisca al raggiungimento della parità di genere (Giuliana Giusti); chi ha fatto del potenziamento delle donne in politica e in ambito lavorativo uno dei suoi temi politici (Laura Boldrini); chi, come Cecilia Robustelli, ritiene che ‘direttrice’ sia la soluzione già prevista dalla lingua italiana e quindi preferibile a ‘direttora’.

La forma DIRETTORA, meno diffusa, è registrata su alcuni dizionari come variante scherzosa. In realtà è attestata nell’uso soprattutto in ambienti femministi, ma non solo, come voce alternativa a ‘direttrice’, rispetto alla quale è linguisticamente più marcata. Chi la utilizza in genere intende arricchire l’informazione su professione e genere di appartenenza con una connotazione che va dallo scherzoso al derisorio, oppure con una rivendicazione ideologica.
Tra le donne che la utilizzano in riferimento a se stesse si annoverano Linda Laura Sabbadini (“direttora” dell’ISTAT e chair del W20 durante la presidenza italiana), Marilù Mastrogiovanni (“direttora” de Il tacco d’Italia), e, in passato, Maria Grazia Pini (“direttora” del Corriere dei Piccoli). Hanno utilizzato questo appellativo anche le donne che, negli anni, hanno diretto il mensile storico Noi donne.

Insomma, ogni forma ha estimatrici e detrattrici che attribuiscono la loro preferenza a motivazioni linguistiche, politiche, sociali o estetiche, e che talvolta scendono nell’arena in nome di tali motivazioni. Ma quante donne scelgono in autonomia e quante si accodano invece a scelte altrui?
Darsi il Permesso di scegliere liberamente come chiamare le altre e se stesse è a tutti gli effetti un piccolo grande esercizio di potere. Il primo di una serie, in realtà.
Il secondo esercizio di potere è darsi il Permesso di cambiare la scelta fatta se, con il passare dei giorni, dei mesi o degli anni smetterà di essere adeguata alle donne che, nel frattempo, saremo diventate.
Il terzo esercizio di potere è:
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[da riempire a piacere, ognuna come le va]

 

Serianni, Luca (1989). Grammatica italiana. Torino: UTET (2021).

Piccola bibliografia di approfondimento [DOWNLOAD]

Approfondimento Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini (1993) [DOWNLOAD]